Sentenza
Tribunale di Alessandria, Sezione Lavoro, 25 febbraio 2002, n. 127, (dott.
Stefano Moltrasio)
Parti in causa : R.F. c. Comune di Novi Ligure (AL)
“Se è pur vero – ai fini della valutazione del periodo di prova di un dipendente comunale addetto all’anagrafe canina – che nel dizionario della lingua italiana il termine “bastardo” è riferito agli incroci di razze animali, è altrettanto vero che, in considerazione dell’estrinseca offensività del termine, sarebbe bastata, per mantenere un cordiale rapporto con la cittadinanza proprietaria di cani non di razza pura, un minimo di sensibilità e gentilezza in più magari utilizzando aggettivi diversi in presenza del proprietario dell’animale”.
Con
nota del dott. Alessio Centofanti
Commento
Nella massima in oggetto, il giudice del lavoro di Alessandria ha ritenuto che la registrazione di cani meticci con la dicitura “bastardo” nell’anagrafe canina comunale, (tenuta ai sensi dell’art. 3 della Legge 281/1991, nonché, nel caso in specie, anche della Legge regionale Piemonte 20/1992), da parte di un dipendente neoassunto in periodo di prova semestrale, contribuisca a configurare, assieme a motivazioni legate al disinteresse per le proprie mansioni, una giusta concausa di licenziamento per mancato superamento della prova, ai sensi dell’art. 14 bis del CCNL del Comparto Regioni-Autonomie Locali del 6 luglio 1995.
Quindi, lo scarso interesse per le attività d’ufficio manifestato dal neoassunto in prova si estrinseca anche nell’utilizzo, per l’attività cui è deputato, del termine “bastardo”, il quale configura un’offesa per la comunità cittadina proprietaria di cani meticci, di fronte alla quale l’impiegato può e deve utilizzare vocaboli differenti, a partire proprio da “meticcio”, oppure “ibrido”, “non di razza”, ecc..
Tuttavia, per una critica della massima in argomento vale la pena sottolineare che, unanimemente, i dizionari della lingua italiana, attribuendo al termine “bastardo” i significati di spurio, degenere, corrotto, ibrido, ecc., precisano anche che lo stesso è da riferirsi agli incroci fra razze animali – come peraltro ammesso dal giudice – e continuando chiarendo che la parola “meticcio” è invece attribuita alla razza umana con riferimento, in origine, agli incroci tra gli amerindi nativi del nuovo mondo e gli europei colonizzatori. Inoltre, se il dipendente in questione ha “maltrattato” verbalmente un animale ed il suo proprietario, è vero altresì che il giudice ha utilizzato in sentenza, seppure in maniera indiretta, un altrettanto improprio “cani di razza pura” : termine inappropriato ed inopportuno da un punto di vista scientifico, oltreché etico, non solo per la “razza” umana, ma per alcuni anche per quella animale.
Inoltre, va ricordato che la massima non poggia su una normativa specifica, quanto più, parrebbe, su uno spirito animalista del giudice, (sia pure contraddittorio per quanto già detto), poiché le disposizioni suindicate in tema d’anagrafe canina nulla prevedono circa la dicitura da utilizzare, limitandosi a precisare che siano registrate le caratteristiche dell’animale nell’apposita scheda segnaletica, (art. 3, comma 2, lettera a), Legge regionale Piemonte 20/1992), e quindi l’indicazione della razza potrebbe anche essere superflua.
Per concludere, ribadito che la legittimità del licenziamento non si fonda unicamente su codesto evento, va sottolineato comunque che il fatto di averlo voluto inserire tra le motivazioni a sostegno della valutazione negativa del lavoratore, in aggiunta a quelle originariamente addotte dall’amministrazione, risulta significativo, sintomo di una maggiore attenzione e sensibilità anche nella semplice denominazione della categoria di appartenenza di un animale, dando priorità all’utilizzo di termini privi di un significato tipicamente spregiativo, denigratorio ed insultante com’è il caso del vocabolo in oggetto.
Alessio Centofanti
(Dottorando di ricerca in Diritto Pubblico presso l’Università di Torino)
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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il
Tribunale di Alessandria, sezione lavoro, in persona del giudice dott. Stefano
Moltrasio ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo alla
pubblica udienza del 19.2.2002 la seguente
SENTENZA
nel procedimento iscritto al n. 1510/99 del R.G. promosso da R.F. elettivamente domiciliato in Alessandria, corso Roma, 35, presso e nello studio dell’avv. Fabio Garaventa che lo rappresenta e lo difende, unitamente agli avv.ti Sandro Gedda e Silvia Romeo del foro di Genova, per mandato a margine del ricorso introduttivo
ricorrente
contro
Comune di Novi Ligure, in persona
del Sindaco dott. Mario Lovelli, elettivamente domiciliato in Novi Ligure, viale
Saffi, 38, presso e nello studio dell’avv. Patrizia Gugliermero che lo
rappresenta e difende per mandato in calce alla copia notificata del ricorso
introduttivo
resistente
Causa decisa mediante lettura del
dispositivo alla pubblica udienza del 19.2.2002 sulle seguenti
Conclusioni delle parti
Per parte ricorrente :
“Voglia il Giudice Ill.mo, contrariis reiectis, previa declaratoria di
nullità e/o illegittimità del licenziamento e/o recesso comunicato al
ricorrente, annullarlo condannando il convenuto Comune di Novi Ligure in persona
del suo Sindaco pro-tempore, alla immediata reintegrazione di R.F. nel suo posto
di lavoro ed a pagargli tutte le retribuzioni dal dì della sentenza a quello
della effettiva reintegra, nonché i risarcimento del danno con i criteri di cui
all’art. 18 L. 300/70 così come modificato dalla L. 108/90, quantum da
precisarsi all’udienza di discussione tenuto conto del tempo che in allora
risulterà trascorso, occorrendo pure a mezzo di CTU.
In
subordine voglia l’Ill.mo Giudice condannare il Comune di Novi Ligure in
persona del Sindaco pro-tempore a ripristinare il rapporto di lavoro de quo con
ogni meglio vista pronuncia in merito ed al pagamento delle retribuzioni dal dì
della sentenza a quello dell’effettiva reintegra, oltre al risarcimento del
danno ai sensi di legge o nella misura meglio vista e/o ritenuta.
Il
tutto, in ogni caso, con rivalutazione monetaria ed interessi.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio”.
Per parte
resistente :
“Contrariis reiectis, Voglia il Giudice Ill.mo respingere le domande tutte azionate da controparte in quanto infondate in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese ed onorari di giudizio.”
Svolgimento del processo
Con
ricorso depositato in Cancelleria in data 10.12.1999 R.F. esponeva :
v
che in data 30.7.1998 era stato assunto, con contratto di lavoro a tempo
indeterminato, dal Comune di Novi Ligure in qualità di Istruttore
Amministrativo ;
v
che il contratto prevedeva un periodo di prova di mesi sei ;
v
che dal 30.7.98 al 23.11.98 aveva svolto la propria attività lavorativa
presso il Servizio Tributi ;
v
che successivamente era passato al Servizio Ragioneria ;
v
che si era assentato dal lavoro per ferie, permessi retribuiti, malattia
previa certificazione medica o autorizzazione del datore di lavoro ;
v
di avere sempre svolto con diligenza e zelo i propri compiti, addirittura
avanzando proposte al rag. Fossati in ordine alla organizzazione interna per la
migliore funzionalità dell’ufficio ;
v
di avere avuto un rapporto cordiale e collaborativo con i propri colleghi
di lavoro ;
v
di non avere potuto partecipare al corso per la gestione informatica dei
tributi in quanto organizzato in orario non di ufficio ;
v
che, infatti, esso ricorrente aveva ottenuto il cambio di orario, (tutte
le mattine compreso il sabato, senza rientri pomeridiani), per poter frequentare
l’Università ;
v
che in data 5.3.1999 il Comune aveva notificato ad esso Ratto il
provvedimento n. 99 del 3.2.1999 con il quale, ai sensi dell’art. 14 bis del
CCNL, il datore di lavoro aveva esercitata la facoltà di recesso per mancato
superamento del periodo di prova.
Tanto
premesso, impugnava il provvedimento di recesso ritenendolo fondato su motivi
illeciti e sostenendo di avere, al contrario, brillantemente superato il periodo
di prova.
Radicatosi
il contraddittorio il Comune di Novi Ligure resisteva alla domanda, di cui
chiedeva il rigetto, osservando che del tutto legittimamente esso resistente
aveva esercitato il diritto potestativo di recesso per mancato superamento del
periodo di prova.
Svolta l’istruttoria orale la causa era decisa come da
dispositivo di cui veniva data lettura all’udienza del 19 febbraio 2002.
Motivi della decisione
1.- La prova orale dedotta per la prima volta dal ricorrente in
sede di discussione è inammissibile, non solo perché evidentemente tardiva, ma
soprattutto perché assolutamente generica.
E’
stata, infatti, domandata “…l’audizione del teste Gigi Moncalvo,
direttore de Il nostro giornale, per essere sentito come teste in ordine ad
alcuni articoli comparsi su detto giornale e relativi al licenziamento del
ricorrente, articoli pubblicati subito dopo il licenziamento”.
2.- Con il ricorso oggetto della presente causa R.F. si duole del
provvedimento con il quale il Comune di Novi Ligure ha ritenuto di recedere dal
contratto di lavoro, stipulato in data 30 luglio 1998, per mancato superamento
del periodo di prova.
Più
precisamente, nell’atto introduttivo il ricorrente sottolinea l’infondatezza
degli addebiti elencati nel provvedimento di recesso ed eccepisce, di
conseguenza, l’illegittimità del provvedimento stesso in quanto fondato su
motivi sostanzialmente illeciti o, comunque, contrari alla buona fede.
Oltre
a ciò, peraltro solamente e per la prima volta nelle note conclusive, la difesa
del ricorrente contesta la tempestività del recesso in quanto avvenuto dopo la
scadenza del periodo semestrale stabilito contrattualmente nonché lamenta che
il Comune non avrebbe consentito il completamento della prova interrompendo il
rapporto ben prima del decorso del termine stabilito dal contratto individuale e
da quello collettivo.
Dette ultime due contestazioni, oltre che tra loro contraddittorie, (delle due l’una : se il recesso è avvenuto dopo l’esaurimento del periodo di prova contrattualmente stabilito allora significa che il dipendente ha avuto a disposizione il tempo previsto per lo svolgimento della prova) e inammissibili, in quanto configurano una modificazione della domanda non autorizzata dal giudice ai sensi del primo comma dell’art. 420 c.p.c., sono comunque, nel merito, palesemente infondate.
L’art.
14 bis del CCNL stabilisce che ai fini del compimento del periodo di prova si
tiene conto del solo servizio effettivamente prestato, (comma 2), e che il
periodo di prova è sospeso in caso di assenza per malattia oltre che negli
altri casi previsti dalla legge, (comma 3).
In
materia la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che, essendo
la finalità del periodo di prova quella di consentire al lavoratore di
dimostrare ed al datore di lavoro di valutare le capacità concrete del
dipendente in ordine alle mansioni affidate, mentre vanno computati i giorni di
riposo settimanale e le festività, non si computano i giorni di sospensione
dell’attività lavorativa “…per eventi non prevedibili al momento della
stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza,
il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del
datore di lavoro e… il godimento delle ferie…”, (in tal senso : Cass.,
sez. L. 24.10.1996 n. 9304).
Poiché
per espressa previsione del CCNL va computato, ai fini del compimento del
periodo di prova, soltanto il servizio effettivamente prestato, è evidente che
al momento del recesso dal rapporto di lavoro il termine semestrale non era
ancora decorso.
Per quel che concerne la doglianza relativa la fatto di non avere consentito al ricorrente di svolgere compiutamente la prova per essere stato il rapporto interrotto prima del compimento del periodo semestrale, va rilevato che il CCNL, (art. 14 bis comma 5), fissa un termine minimo, (tre mesi, nel caso in esame), prima del quale non è esercitabile la facoltà di recesso.
Ciò
significa che decorso detto termine minimo è in facoltà delle parti
interrompere in qualsiasi momento il rapporto senza dover necessariamente
attendere l’intero decorso del termine semestrale.
Anche
sotto tale profilo il comportamento del Comune di Novi Ligure è stato conforme
alla disciplina contrattuale avendo esercitato la facoltà di recesso ben oltre
il decorso del termine minimo semestrale di cui si è detto.
3.- Passando all’esame delle doglianze espresse in via
principale nel ricorso introduttivo, si osserva quanto segue.
3.1- L’art. 2096 c.c., in tema di assunzione in prova, sancisce
l’obbligo reciproco del datore di lavoro e del dipendente di consentire e di
fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.
Detta
norma, inoltre, prevede che durante il periodo di prova ciascuna delle parti può
recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o d’indennità e che, se la
prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può
esercitarsi prima della scadenza del termine.
Nel
caso in esame, come detto, l’art. 14 bis del CCNL stabilisce quale tempo
minimo la metà del periodo, con la conseguenza che la facoltà di recesso, di
cui al terzo comma dell’art. 2096 c.c., poteva essere esercitata dalle parti
non prima del decorso di tre mesi dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
Detto
termine minimo è stato rispettato e, quindi, nessun profilo di illegittimità
è rilevabile sotto tal aspetto.
3.2.-
Il recesso nel
periodo di prova è sottratto alla disciplina limitativa dettata in materia di
licenziamenti.
Il datore di lavoro è obbligato a consentire l’espletamento della prova ; il prestatore del lavoro ha il diritto ed il dovere di eseguire la prova ; il recesso da parte del datore di lavoro, ad esito della prova, incontra il solo limite del rispetto della buona fede, nel senso che la prova deve avere dato oggettivamente esito negativo.
In
altre parole, il recesso da parte del datore di lavoro non deve essere sorretto
da motivo illecito.
Afferma
la Suprema Corte di Cassazione che “il recesso intimato nel corso del
periodo di prova, data la sua natura discrezionale, non deve essere motivato
atteso che l’obbligo di motivazione sussiste solo ove la legge preveda motivi
tipici di recesso, (come nel caso di rapporti assistiti da stabilità
obbligatoria o reale), in funzione dell’accertamento dell’effettività del
motivo. L’esercizio del potere di
recesso, consentito anche nel corso del periodo di prova, deve peraltro essere
coerente con la causa del contratto sicché incombe sul lavoratore l’onere di
provare che il recesso è stato determinato da motivo illecito o che la prova
non si è svolta in tempi o modalità adeguati o che essa è stata positivamente
superata. Dall’eventuale
declaratoria di illegittimità del recesso durante il periodo di prova consegue
peraltro o la prosecuzione – ove possibile – della prova per il periodo
mancante al termine prefissato oppure il risarcimento del danno” (Cass.,
sez. L. 12.3.1999 n. 2228) ; “il
rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova è sottratto, per
il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali,
ed è caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza
obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di
contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento
professionale del lavoratore stesso ; grava sul lavoratore che deduca in sede
giurisdizionale la nullità di tale recesso l’onere di provare sia il positivo
superamento dell’esperimento, sia l’imputabilità del recesso ad un motivo,
unico e determinante, che sia
estraneo alla funzione del suddetto patto e perciò illecito” (Cass., sez.
L. 4.8.1998 n. 7644) ; “il
licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, avendo
natura discrezionale, non deve essere motivato, atteso che l’obbligo di
motivazione ha ragion d’essere solo ove la legge preveda motivi tipici di
recesso, (come nel casodei rapporti assistiti da stabilità obbligatoria o
reale), in funzione dell’accertamento dell’effettività del motivo ; incombe
pertanto sul lavoratore licenziato l’onere di provare, secondo la regola
generale di cui all’art. 2697 c.c., che il recesso è stato determinato da
motivo illecito o che il rapporto in prova si è svolto in tempi e con modalità
inadeguate rispetto alla funzione del patto, da valutarsi essenzialmente sulla
base delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175
e 1375 c.c.” (Cass., sez. L. 25.3.1996 n. 2631).
Da
ciò deriva, condividendosi appieno l’orientamento della Suprema Corte, che il
recesso intimato durante il periodo di prova è atto discrezionale e che sul
lavoratore incombe l’onere di fornire la prova che il recesso è stato fondato
su un motivo illecito, o che la prova è stata positivamente superata o che la
prova non si è svolta in tempi o modalità adeguati.
3.3.- Riguardo alla tempistica del periodo di prova già si è
detto.
Il
recesso è stato intimato dopo il decorso della metà del periodo di prova e non
consta che al ricorrente siano state in detto periodo affidate mansioni non
corrispondenti alla qualifica per la quale era stato assunto.
3.4.- Al di là delle affermazioni contenute nel ricorso
introduttivo, non pare che le prove testimoniali assunte abbiano fornito
dimostrazione dell’avvenuto positivo superamento della prova da parte del
ricorrente.
I
testimoni, invero, si sono limitati a riferire genericamente sul comportamento
tenuto dal R.F. in ufficio senza peraltro fornire elementi tali da cui desumere
che costui fosse in possesso delle cognizioni e delle capacità per svolgere
autonomamente i compiti tipici della qualifica di appartenenza.
3.5.- Infine, quanto all’ultimo aspetto si osserva quanto segue.
Conformemente al disposto del comma 5 dell’art. 14 bis del CCNL il Comune di Novi Ligure ha fornito ampia ed esaustiva motivazione in merito alle ragioni del recesso, e precisamente :
·
ritrosia per il
servizio a contatto con il pubblico ;
·
assenza di proposte
collaborative all’interno dell’ufficio ;
·
scarso interesse per
le attività dell’ufficio ;
·
insofferenza alle
sollecitazioni di inserimento e di intervento lavorative ;
·
incapacità di
rapportarsi con i colleghi ;
·
rifiuto di partecipare
ai corsi di formazione.
In presenza di un obbligo specifico di motivazione delle ragioni di recesso è evidente che la prova in ordine alla illiceità dei motivi cui fa riferimento la citata giurisprudenza della Corte di Cassazione debba essere riferita alla fondatezza o meno delle ragioni esplicitate nell’atto di recesso, non senza comunque valutare complessivamente il comportamento professionale della personalità tenuto dal lavoratore nel corso del periodo di prova, (in tal senso : “nel periodo di prova gli obblighi fondamentali di fedeltà, correttezza e diligenza, cui il lavoratore è tenuto, investono non solo e non tanto la prestazione lavorativa, quanto e (soprattutto) la personalità complessiva del prestatore d’opera. Ne consegue che il potere discrezionale del datore di lavoro di recedere nel corso del periodo di prova è legittimamente esercitato quando riflette l’accertamento e la valutazione non soltanto degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta, anche nelle relazioni sociali, la sua personalità” Cass., sez. L. 10.6.1999 n. 5714).
Ad esito dell’istruttoria non pare sia stata dal ricorrente raggiunta la prova che il recesso si sia fondato su motivazioni illecite, cioè contrarie alla buona fede contrattuale : nessuno dei testi ha, infatti, fornito utili elementi che possano deporre per una conclusione di tal fatta.
Neppure è emerso che le ragioni espresse quali motivazioni non fossero in assoluto sussistenti, anzi è emerso l’esatto contrario.
Ed infatti, se è pur vero che nel dizionario della lingua italiana il termine “bastardo” è riferito agli incroci di razze animali, è altrettanto vero che, in considerazione della intrinseca offensività del termine, sarebbe bastata, per mantenere un cordiale rapporto con la cittadinanza proprietaria di cani non di razza pura, un minimo di sensibilità e gentilezza in più magari utilizzando aggettivi diversi in presenza del proprietario dell’animale ; sarebbe bastata, per dimostrare interesse alle attività di ufficio, una partecipazione, anche sporadica, ai corsi pomeridiani organizzati dal Comune, tanto più che, senza nulla togliere al sacrosanto diritto allo studio del ricorrente, non consta che presso l’Università di Genova, Facoltà di Scienze Politiche, vi sia l’obbligo di assoluta frequenza alle lezioni ; sarebbe bastato, ancora per dimostrare fattiva partecipazione alle attività di ufficio, rispondere qualche volta al telefono anziché rimanere seduto inerte alla scrivania ; sarebbe bastato, infine, mantenere un rapporto un poco più confidenziale con i colleghi di ufficio per dimostrare di essere comunque in grado di inserirsi adeguatamente e serenamente nell’ambiente di lavoro.
In buona sostanza, le testimonianze assunte hanno, in larga misura, confermato le ragioni di recesso esplicitate dal Comune di Novi Ligure.
Hanno confermato, insomma, un complessivo comportamento del R.F. insofferente e disinteressato, tipico di colui che sa di non dovere restare a lungo in quel posto di lavoro avendo interesse al trasferimento presso una sede più vicina al proprio luogo di residenza.
3.6.- In conclusione, quindi, il ricorso deve essere rigettato integralmente.
4.- In considerazione della natura della causa e delle condizioni personali delle parti, si stima equo disporre la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale, sezione lavoro, in persona del giudice dott. Stefano Moltrasio, definitivamente pronunciando così provvede :
1) respinge le istanze istruttorie formulate dal ricorrente in sede di discussione ;
2) respinge il ricorso ;
3) dichiara compensate le spese processuali.
Così deciso in Alessandria, addì 19 febbraio 2002.
Il giudice dott. Stefano Moltrasio
Il cancelliere C1 Arcangela La Rosa
Depositato in cancelleria oggi 25.2.2002